domenica 22 maggio 2011

"Tutto sarebbe tornato a posto"



Agnese Cerroni



Roma - Dieci racconti, in ogni racconto un urto che come un evento traumatico mette in discussione il fragile equilibrio della vita. Nelle librerie esce in questi giorni "Tutto sarebbe tornato a posto", di Michele Cocchi, Elliot Edizioni.



C’è un ragazzo in carrozzina e una donna che lo spinge sul lungomare. C’è una bambina, in un ambulatorio, seduta a terra con le gambe divaricate e un dottore che parla a sua madre. C’è un uomo, al centro di una piazza, che osserva da lontano un funerale. C’è un’infermiera che apre gli oblò di un’incubatrice e un neonato minuscolo rannicchiato dentro un nido di stoffa. C’è una coppia dentro una casa e uno sconosciuto armato seduto di fronte a loro. Ci sono due amici che arrancano su un costone roccioso e si aggrappano alla ramaglia che spunta dalla terra. C’è un ragazzino che cammina in un bosco con uno zaino sulle spalle e un cane ferito al fianco. C’è una giovane donna di fronte a uno specchio in una camera d’ostello che si preme le mani sui seni. C’è un bambino, dentro una buca scavata nel bagnasciuga, che lancia in aria palle di sabbia e due donne che lo stanno a osservare. Un’umanità costituita di esistenze dolorose, che percorrono la vita in un fragile equilibrio, sempre colte nell’istante esatto in cui un urto inaspettato sopravviene a farle vacillare pericolosamente. Dieci racconti scritti con una prosa precisa e levigata, che narrano il disagio fisico, psicologico e relazionale, mettendosi direttamente nella mente dei suoi personaggi, dieci storie in cui le emozioni si assorbono lentamente pagina dopo pagina o arrivano nette e affilate come una lama, a spaccare la normale continuità della lettura. ESTRATTO: «Che cos’hai stamattina?» mi domanda. «Niente. Stavo solo pensando». «A cosa pensavi?». «Al lavoro» gli dico. «Qualcosa che non va?». «Non lo so. Una bambina nuova. Con cui non riesco a lavorare». «Che significa che non riesci a lavorarci?». «Mi guarda in maniera strana, come un adulto. Sembra domandarmi qualcosa. Ma non capisco cosa». Giuseppe mi fissa in silenzio. «Che le è successo?» mi chiede districando un piede dal lenzuolo e puntellandosi su un gomito. «Niente di particolare. Va abbastanza bene, a parte che desatura – qualche volta respira male e va giù d’ossigeno. Ma appena mi avvicino è come se mi riconoscesse, apre gli occhi e mi fissa».

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