domenica 13 novembre 2011

"La mia fuga dai Piombi": quando Casanova, grazie alla cultura, evase.

Giulio Gasperini
ROMA –
Giacomo Casanova fu, insieme a Cagliostro e Lorenzo da Ponte, il personaggio che più animò, sapidamente, le cronache mondane e sociali dell’Europa del Settecento. In quella che Benedetta Craveri ha definito “la civiltà della conversazione” esistevano salotti dove il chiacchiericcio era l’occupazione principale, dove le signore e i signori, senza vergogne né pudori, si raccontavano le notizie e le dicerie, gli scandali e i tradimenti, riportavano le conversazioni ed esageravano i sospetti. Possiamo soltanto immaginare quanto la personalità di Casanova, anche in seguito alla pubblicazione del racconto della sua evasione dal carcere più inespugnabile del mondo (“Histoire de ma fuite des prisons de la République de Venise qu’on appelle ‘Les Plombs’”, pubblicata in francese nel 1787) facesse congetturare e divertire.


Il “piacere della parola” poteva rendere la parola stessa “potente” e “pericolosa”, sempre secondo le sagaci definizioni della Craveri. E la vicenda di Casanova, che trascorse i suoi ultimi anni di vita sepolto in un castello della Boemia, lavorando come bibliotecario e scrivendo la monumentale opera autobiografica “Histoire de ma vie”, trovò nella parola il suo compimento perfetto, il suo più completo epilogo.
Casanova fu sicuramente, come tutti i suoi amici girovaghi e apolidi, un gran comunicatore di sé stesso, quando ancora il marketing (astuto) non s’immaginava cosa potesse essere e che conseguenze avrebbe avuto sulla società. La sua fuga dal carcere più opprimente e più inviolabile del mondo, quello dei Piombi di Venezia, diventa leggenda, un’autocelebrazione, un’ovazione a sé stesso, alla scaltrezza del proprio ingegno, alla perizia del proprio ragionamento, alla prestanza del proprio fisico.
Casanova conosce poche debolezze e scoramenti, e anche quando par indulgere alla sfiducia e allo sconforto, in realtà si tratta di pura costruzione letteraria, quasi volendo rispettare leggi narrative e retoriche che accrescano il pathos della narrazione e la magnificenza del personaggio e dello scrittore (che sono la stessa – involabile e indivisa – entità).
La confessione di Casanova è pura teatralità, puro divertimento e sberleffo del lettore che, a bocca aperta, non può fare a meno di leggere e sentirsi inabile alla vita intera. Sicché ecco squadernati sotterfugi, trucchi, travestimenti, adulazioni, pazienza da eremita: tutti espedienti e atteggiamenti che ci dimostrano come Casanova sia stato qualcuno di imprevedibile, e irripetibile. Ma Casanova – nobile merito – ci descrive accuratamente persino il ruolo fondamentale, indubbio, che la cultura rivestì in codesta evasione. Come a dire che la cultura ci rende, fisicamente e moralmente, liberi.

2 commenti:

  1. E' un bellissimo esempio della forza della parola, della dialettica, della costruzione scenica... Da ciò che emerge, da questo articolo, su quanto la parola e le chiacchiere condizionino la società, è necessario riflettere e porsi molte domande sul contesto sociale nel quale viviamo....

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  2. La parola ha sempre attratto la curiosità di ogni epoca: nella nostra c'è un evidente abuso. Parole dovunque. Parole parole parole. Ma non nel senso buono, come se ne faceva nel '700. Un abbrutimento della parola, un suo impoverimento, un suo tradimento. Non più parole per il piacere di sentirle, ma parole per il potere di acquisto, di mercificazione, di propaganda. Casanova, decisamente, amò la parola - il suo significante - perché realmente veicolante un puro significato.

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