domenica 8 maggio 2011

"Il deserto dei Tartari", il romanzo più famoso di Dino Buzzati

Agnese Cerroni
ROMA - Una mattina di settembre per Giovanni Drogo sembra giunto finalmente il momento di liberarsi della prevedibile e monotona esistenza condotta fino ad allora: sta per cominciare la vera vita, colma di promesse, soldi, belle donne, avventure. Infatti il giovane tenente, protagonista de "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati (Mondadori 1940) viene inviato dalla città alla Fortezza Bastiani. Tuttavia, da molti anni nessun attacco è più giunto da quel fronte, e la Fortezza, svuotata ormai della sua importanza strategica “E’ un tratto di frontiera morta (…) che non dà pensiero”. E' un luogo ai confini della vita, oltre che dell'impero, che guarda su un deserto dal quale un nemico pare debba emergere dai sassi e dalla sabbia, una costruzione arroccata su una solitaria montagna, di cui molti ignorano persino l'esistenza.

 I zelanti militari che la abitano e le danno vita sono retti da un'unica speranza, che diviene ragione pura del loro esistere: vedere sopraggiungere i tartari da quei confini, per combatterli, acquisire gloria, onore, diventare, insomma, eroi. La vita scorre nei riti, nelle liturgie ripetute e volutamente ripetitive della vita militare. “Drogo non conosceva il tempo. Anche se avesse avuto dinanzi a sé una giovinezza di cento e cento anni, come gli dei, anche questo sarebbe stata una povera cosa. E lui invece aveva a disposizione una semplice e normale vita, una piccola giovinezza umana, avaro dono, che le dita della mano non bastavano a contare e si sarebbe dissolto prima ancora di farsi conoscere”. Trascorrono mesi, anni, le vite si consumano in questa sterile attesa, cullate dalla pigra abitudine, scandite dall'ignaro trascorrere del tempo in un romitismo forzato.

Giovanni Drogo, che arriva alla Fortezza convinto di ripartirne subito, si trova avvinto, immediatamente, dalla sua malia: è sicuro di sé, sa di avere tutta la vita davanti, di poterne disporre a suo piacimento, aspettando la grande occasione. Eppure, nell'abbandonare la casa e la vecchia madre, il giovane avverte una punta di amarezza: abbandona una vita, il mondo dell'infanzia, in cui tutto gli sembrava ancora possibile, in cui tutte le opzioni esistenziali erano ancora aperte e gli si spalanca dinnanzi la vita adulta, fatta di responsabilità, di limiti ed obblighi da rispettare. Trascorreranno quindici anni prima che egli inizi a rendersi conto che il tempo è fuggito, prima che riesca ad individuare, a ritroso, perfino l'attimo esatto in cui la giovinezza gli è sfuggita di mano “la prima sera che fece le scale a un gradino per volta”.

La Fortezza si erge all'orizzonte isolata, in terra di frontiera. Una frontiera morta, ormai, priva di pericoli e di minacce. Davanti, a nord, c'è il deserto, "pietre e terra secca, lo chiamano il deserto dei Tartari", perché un tempo, molto lontano, pare fossero i Tartari a minacciare il confine. La Fortezza è un edificio inospitale, le sue mura sono tetre, il paesaggio intorno brullo, desolato, riarso. Alla Fortezza Drogo sperimenta la solitudine, "lo squallore di quelle mura, quell'aria vaga di punizione ed esilio, quegli uomini stranieri ed assurdi". Intorno percepisce la rigidità burocratica della vita militare, le regole insensate, la vuota disciplina, un'organizzazione che, in mancanza di un nemico tangibile, gira a vuoto, fine a se stessa. Il tenente Drogo è deluso, vorrebbe tornarsene in città, ma un po' i superiori, un po' oscuri lacerti della sua volontà lo trattengono.

Più precisamente Buzzati scrive "oscure forze si oppongono, alcune originate dalla sua stessa anima". Vede che i più anziani hanno consumato la loro esistenza nella vana attesa di un evento formidabile che la riscattasse, aspettando cioè la guerra, la battaglia, "l'avventura, l'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno", l'occasione propizia per dimostrare il proprio valore e ottenere gloria e onori agognati. "Per questa eventualità vaga", - annota il narratore -, "che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumano lassù la migliore parte della vita". Drogo, col passare del tempo, comincia ad abituarsi alla vita militare, con i suoi riti persino piacevoli e le sue certezze. Non succede quasi niente alla Fortezza: un giorno viene ucciso, per sbaglio e per zelante ossequio al regolamento, il soldato Lazzari, uscito a recuperare un cavallo che credeva il proprio; in un'operazione catastale più che militare, delimitare cioè il confine, muore, poi, ma di freddo, seppur con grande dignità, l'elegante e nobile tenente Angustina, sempre impeccabile nel vestire e nei comportamenti. Drogo ottiene una licenza e fa rientro in città. Non ne ricava, tuttavia, la felicità sperata: gli amici sono affaccendati, le speranze d'amore deluse, l'affettuoso rapporto con la madre è sbiadito, tra loro è calato come un "velo di separazione". Gli anni intanto passano, la carriera di Drogo procede lenta, per esclusiva anzianità di servizio, mentre i vecchi amici, in città, "hanno fatto strada, occupano posizioni importanti", lo hanno lasciato indietro nella corsa della vita, senza curarsi più di lui.

Giovanni aspetta ancora "la sua ora, che non è mai venuta", ma il tempo stringe, molti cancelli si sono ormai chiusi alle sue spalle, ha bruciato molte possibili occasioni. Le scelte compiute ne stanno condizionando irreversibilmente l'esistenza. "E a più di quarant'anni, senza aver fatto nulla di buono, senza figli, veramente solo al mondo, Giovanni si guardava attorno sgomento, sentendo declinare il proprio destino". Come tutti gli uomini, "indifesi contro il lavoro del tempo", Giovanni Drogo malinconicamente invecchia. Un giorno i nemici, in forze, vengono avvistati all'orizzonte. Nella Fortezza è tutto un trambusto, un riorganizzarsi, un predisporre uomini e armi per lo scontro decisivo. L'ora della gloria è finalmente arrivata. Ma non per il protagonista. Solo, gravemente ammalato, dimenticato da tutti, considerato ormai un peso, Drogo abbandona su una carrozza per malati il fortino. Lo attende, tuttavia, una prova difficilissima, l'ultima e decisiva della sua esistenza, che richiede audacia, fierezza e dignità senza pari: l'incontro con la propria morte. “Giovanni raddrizza un po’ in busto, si assesta con una mano il colletto dell’uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride”.

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