ROMA - Prendi un ventinovenne qualsiasi e portalo a New York. The city who never sleeps lo stregherà con i suoi colori e le sue luci, lo rapirà come nessun'altra: con le guglie e i picchi dei suoi grattaceli sfavillanti, guidandolo tra i marciapiedi di Manhattan come sul set di un film. Empire state building, Rockfeller centre, Broadway, Time square. Se quel ventinovenne qualsiasi però si chiama Devor De Pascalis, i contorni della grande mela, affascinanti per i più, diventano degli Spigoli. Italo-americano dal nome inconsueto, autore del blog autobiografico da cui il libro edito da Caravan Edizioni è tratto, Devor De Pascalis decide di tentare fortuna sbarcando sul suolo americano. Dopo che gli studi conclusi a Roma da tempo non lo hanno ricompensato con un posto di lavoro di lavoro decente, il protagonista decide di mollare il Bel Paese. Equipaggiato con uno zaino in spalla e una discreta paura di volare, raggiunge the land of hope and opportunity, dove l'appoggio presso alcuni parenti può garantirgli la possibilità di tornare indietro fra un mese, fra un anno o forse mai. Ma la storia del ragazzo che decide di cambiare vita trasformandola in una soap opera a stelle e strisce è meno edulcorata di quelle dei personaggi dei telefilm americani. New York non è Manhattan e Manhattan non è New York, che piuttosto assomiglia al Bronx e ha le fattezze dei sobborghi claustrofobici di qualsiasi altra metropoli, in cui vivono immigrati assiepati in casermoni umidi, suddivisi rigidamente per cartelli, etnie e professioni religiose. La vita americana dunque si configura come dura, razzista e spietata, il viaggio quotidiano in metro una lotta per la sopravvivenza, la sopravvivenza stessa una rinascita.
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